Nicola Galvan (maggio 2011)

Nelle opere di Roberta Lozzi si manifesta una nuova poetica del frammento. Appare quasi una naturale conseguenza che l'artista milanese sia recentemente approdata alla pratica del collage, di cui gli esiti raggiunti possono richiamare le molteplici “scritture” succedutesi nella storia contemporanea dell'immagine. Tuttavia, se dalla sua epifania nel tempo delle Avanguardie, sino alla riformulazione dei suoi codici avvenuta con il Nouveau Réalisme, il collage ha veicolato la riflessione sulla comunicazione di massa e sullo statuto dell'operazione artistica, Lozzi presenta nel suo utilizzo uno scarto significativo rispetto a tali implicazioni, guadagnando una propria autonoma dimensione espressiva.

Dal punto di vista compositivo, diverse sono le cadenze entro le quali vengono a costruirsi le sue immagini, caratterizzate dall'addensarsi o dal disperdersi delle varie presenze iconiche. Un procedere che appare finalizzato alla restituzione del tema di volta in volta dominante, come avviene nel battente “cadere” di frammenti fotografici e verbali in lavori titolati, adeguatamente, Rain. Il dialogo innescato tra gli elementi visivi, alla luce dell'esito straniante di talune associazioni, sembra sottendere una spontaneità esecutiva che chiamerebbe in causa l'apporto dell'inconscio e di enigmatici percorsi della memoria; senza escludere la presenza di simili componenti, l'analisi degli aspetti puramente formali, e della loro evoluzione nel tempo, indica la natura coerente e progettuale della sua giovane vicenda creativa.

Nei lavori d'esordio, che datano a circa un decennio fa, l'organizzazione della superficie è regolata da un processo astraente che investe la figura umana ed il relativo contesto spaziale: un rapporto che trova la sua sintesi in un sistema di campi cromatici giustapposti. A sortirne sono una serie di esperienze pittoriche che hanno luogo su semplici carte da imballaggio. Vicine ad un'estetica minimalista, queste prime prove sono contrassegnate da piane stesure di colore acrilico e dalle linee di confine che ne scandiscono le diverse parti. Il corpo e lo spazio raggiungono così una compiuta identificazione con la superficie bidimensionale. A conferma di come le modalità della resa spaziale orientino il ricercare dell'artista, può essere citata la sua attività nell'ambito della pittura murale, che la vede eseguire ampi interventi site specific ove il colore si misura con la già determinata estensione degli ambienti, di cui viene alterata la percezione grazie ad effetti di movimento e profondità.

A una fase meramente pittorica ne succede una più sperimentale legata alle diverse tecniche di stampa fotografica. È questa nuova direzione espressiva a guidare Lozzi verso il sistematico “prelievo” di immagini già esistenti, provenienti dal mondo dell'editoria e da quello del cinema. Depositarie di una loro precedente storia e di un loro originario senso, queste vengono depistate verso nuovi campi di significato, suggeriti dalla peculiare prassi degli interventi operati. Spesso presentate nelle forme del dettaglio, vengono portate a reagire con elementi segnici e grafici, fino alla manipolazione in senso materico della loro identità di superficie, resa possibile dall'indagine di procedimenti tecnicamente sofisticati quali la fotoincisione. Inizia perciò ad affacciarsi il contesto immaginativo che trova forse nei recenti collages la propria più efficace traduzione. In essi, si assiste ad una ideale danza di frammenti visivi d'ordine oggettuale ed organico, a cui partecipano brani fotografici di territori lontani, funzionali all'evocazione della dimensione del viaggio o, meglio, del suo rivivere fantastico nel ricordo. Se il tentativo è quello di accedere, attraverso il mondo delle immagini, a quello delle immaginazioni, la presenza di questi paesaggi sembra effettivamente invitare alla contemplazione di più complessi panorami interiori. L'intenzione dell'artista di comporre una riflessione sull'io trova ulteriore risonanza nel frequente inserimento di brevi periodi scritti stralciati da saggi di psicologia, sottolineati o evidenziati con cura da studente.

Spesso riconducibili ad un'estesa idea di femminilità – lunghe capigliature, dettagli di “tenere” anatomie, ma anche visioni ravvicinate di tessuti e trame – molti tra gli elementi convocati mantengono, pur nella sublimazione regalata dal mezzo fotografico, la capacità di richiamare quella morbidezza che ne caratterizza l'identità materiale, proprio in virtù della concentrazione sui loro particolari. Inoltre, quando condotti alla stratificazione, concorrono a determinare una pur sottile tridimensionalità della superficie, che può sembrare occasionalmente sondata da essenziali profili di alberi, rami o radici simili a dita umane, di cui il segno dell'artista descrive il confine. Ma la più frequente disseminazione dei diversi relitti d'immagine comunica invece l'idea di un loro illusorio galleggiamento, resa plausibile dalla preparazione cromatica delle superfici cartacee destinate ad accoglierli, che la gamma dell'azzurro restituisce quali evocazioni di contesti acquatici e primordiali. Alcuni di questi lavori sono accompagnati, non a caso, da un titolo come Floating, e affine è il richiamo suggerito dall'apparire, tra le tante “schegge” d'immagine, di risacche marine e rive. Sapendo della passione dell'artista per il cinema d'autore, viene alla mente il bellissimo finale de I 400 colpi di François Truffaut, in cui il giovane protagonista termina la sua fuga dal riformatorio giungendo sino alla riva del mare, nel quale immerge i piedi: uno sconfinamento rispetto alla terra ferma e, metaforicamente, rispetto alla vita che aveva sin lì conosciuto, un'allusione poetica al suo passare dall'infanzia all'età adulta, dalla soggezione alle regole altrui all'autodeterminazione.

Con lavori ove tutto, in ragione dello sradicamento dalla sua unità d'origine, tende a sfumare verso l'irriconoscibilità, Roberta Lozzi giunge, probabilmente, a riconoscere se stessa: come specchi, le sue opere restituiscono un ininterrotto rimodularsi dell'identità nel tempo, a cui è contestuale la conciliazione della memoria personale con l'immaginario condiviso.




Paola Noè ("Different landscapes”, marzo 2011)

Le opere di Roberta Lozzi sono colore. Colore prima che colori. Perché il colore è l’essenza prima della narrazione dei suoi lavori, siano essi pitture o collages. Il colore è blu, rosa, grigio, rosso... ma soprattutto è colore piatto, bidimensionale, strumento unico e protagonista, capace di invadere lo spazio. Il colore nelle opere di Roberta Lozzi si trasforma in narrazione e immagini attraverso la scelta dei titoli evocati dall’artista. Esemplare è clouds, collage nel quale l’azzurro si trasforma in nuvole, mentre il mare ci appare in frammenti di bianco e nero. Davanti alle sue opere, ho voluto conversare sottovoce con Roberta. Per riflettere sugli elementi più forti della sua ricerca.

Cosa significa per te il collage? Perchè la scelta di questa tecnica, ellittica, frammentaria, mancante?

Per me il collage coincide con l'essere artista: spezzarsi, bloccarsi, rielaborare l'accumulato, ricomporsi, ripartire..

Frammenti. Ma cos’è per te l'idea del frammento?

Nei miei primissimi lavori, come Broken e Breakable, era sempre presente l'idea della fragilità, della rottura. Due anni fa, dal 2009 ho cominciato a lavorare all'idea di "collage digitali" dove alcune foto venivano tagliate e ricomposte in photoshop. La poetica del frammento si è trasformata da scelta tematica a tecnica. La mia tecnica.

Che importanza ha la narrazione nei tuoi lavori?

Non credo ci sia una vera e propria narrazione nei miei lavori. Al contrario penso che le mie opere vadano nella direzione opposta. Penso che ognuno può vederci, meglio intra-vederci, quello che vuole, quello che riesce a vedere. Sebbene si tratti sempre di lavori molto personali, loro non vogliono raccontare... tutt'altro.

Qual è la storia che invece vuoi raccontare?

Io direi che non voglio raccontare nulla: al contrario, nei miei collage c’è l'esigenza di trovare una soluzione al pensiero di non appartenere ad alcuna definizione. Il collage mi dà libertà e la possibilità di fare a modo mio.

Dove nascono i tuoi collage?

Sono molto ordinata ed ossessionata dall’idea di buttare quasi tutto. Negli ultimi anni ho cominciato a salvare il salvabile, quello che mi era rimasto: vecchi disegni, fotografie di viaggi, fotocopie. Ho scoperto tra l’altro di avere un numero enorme di fotocopie, troppe. Ho sempre avuto la mania di fotocopiare i miei schizzi.

Per te è più importante la forma o il colore?

Entrambi, ma la cosa più importante di un lavoro per me rimane il titolo.. come nei libri e nei film... nel titolo riesco a creare quella sintesi che in nessun altro modo potrei ottenere..